IL GIARDINO DI LUCE



Ho sempre ammirato la spirituale semplicità dei giardini zen secchi dei monasteri giapponesi. Spazi concettuali dove la mente viene privata di ogni riferimento con il vivere quotidiano per permettere a chi si ferma in contemplazione di entrare in contatto con la sua essenza, con CHI egli è e DOVE egli è. Se questo contatto ha luogo, si può sperimentare lo stato di “presenza”, l’aderenza del pensiero all’istante presente e solo a ciò che è, senza sovrapposizione alla realtà di giudizi che impegnano la coscienza in un continuo lavoro di controllo e adeguamento del suo operato.
Per darsi il permesso di vivere.
Dio nella grandezza del suo amore per noi ci ha voluti e creati liberi in una realtà libera.
Il giardino terrestre è già qui su questo pianeta. Non dobbiamo comprarlo con sacrifici o espiazioni:sono totalmente inutili. Lui ce lo dona volentieri “gratis”, cioè per grazia di Dio.
Dobbiamo solo amare noi stessi senza condizioni, al di là delle colpe vere o immaginarie.
Per farlo occorre ricordare Chi siamo.
Il Giardino zen può essere un buon posto.
Al rigore estremo del modello giapponese ho aggiunto elementi che rappresentassero la vita e il suo pulsare. Ho aggiunto così l’acqua in movimento, la luce e il colore delle fontane e delle sabbie di marmo. Nasce così il giardino zen secco “all’italiana”: il giardino di luce.
Così ho inventato il giardino zen secco “all’italiana”: il Giardino di Luce. Alla immobilità della pietra ho sposato l’acqua in movimento, la luce e i colori delle sabbie e delle fontane.
All’interno si percorre un sentiero che attraversa vari scenari: le nevi eterne,la foresta pietrificata, il deserto. Al centro uno spazio dove sostare, meditare e ascoltare il suono dell’acqua.
Le pareti curve accolgono e accompagnano il visitatore con un movimento morbido, ad onde.
Alle pareti cinque quadri realizzati con sabbie di diversi colori, rappresentano delle finestre affacciate su diversi luoghi della Terra: un “Paesaggio artico”, un “Oceano”, delle “Colline”, un “Vulcano”, un fiume: il “Nylus”.
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